Don’t be shy: 10 consigli per twittare per promuovere la propria ricerca

twitterI social media possono essere uno strumento potente per attirare l’attenzione sui propri lavori tra la miriade di articoli pubblicati ogni anno. Per ottenere questo risultato non è sufficiente twittare e basta, di seguito alcuni consigli per sfruttare a pieno Twitter in modo da promuovere la propria ricerca e aumentarne l’impatto:

  • Non aver timore di promuovere il tuo lavoro. Twitter non è un posto dove essere timido. Sei il miglior sostenitore del tuo lavoro e l’autopromozione è un modo comprovato per favorire la diffusione della ricerca
  • Se hai intenzione di twittare su qualcosa di controverso, pianificalo in anticipo
  • Più twitti, più follower avrai
  • Usa gli hashtag – saggiamente. Gli hashtag possono essere un modo efficace per accedere alle communities di twitter più attive nel tuo ambito. Cerca anche gli hashtag “del momento” pertinenti al tuo lavoro

Questi sono alcuni dei 10 consigli proposti da Bec Crew nell’articolo 10 tips for tweeting research pubblicato su Nature index, dove ogni consiglio è accompagnato da dati ed esempi che ne comprovano la veridicità.
Una guida agile e utile soprattutto per chi non ha ancora scoperto le enormi potenzialità di questo strumento.

Nuovo accordo tra ResearchGate e Wiley

ResearchGate e Wiley hanno annunciato ieri un accordo di cooperazione per supportare i ricercatori nell’accesso e nella condivisione di articoli sulla piattaforma RG proteggendo i diritti degli autori e degli editori e tentando così di risolvere le note controversie sul diritto d’autore tra RG e gli editori.
In particolare Wiley e ResearchGate si impegnano a:

  • sperimentare nuove modalità per recuperare articoli di riviste e promuovere la comunicazione e la collaborazione nella ricerca
  • sviluppare e condividere approfondimenti sull’utilizzo dei contenuti di Wiley su RG
  • collaborare per educare gli utenti sui loro diritti in relazione ai contenuti protetti da copyright fornendo informazioni chiare su come e quando possono condividere i propri articoli in rete
  • lavorare per identificare prontamente qualsiasi condivisione pubblica che violi il copyright dei contenuti di Wiley su RG

Wiley si aggiunge così agli editori che hanno cercato un punto di incontro con RG per permettere ai ricercatori di collaborare responsabilmente in modo conforme al copyright.

Alla luce di questo accordo Wiley non sarà più membro della Coalition for Responsible Sharing, che ha ribadito che “i membri della Coalition for Responsible Sharing continuano a ritenere che la pubblicazione e la successiva rimozione di contenuti illeciti sul sito di ResearchGate siano insostenibili e dannose per la comunità scientifica. I contenuti che violano il copyright non devono essere resi disponibili sul sito di ResearchGate in nessun momento “.

ResearchGate scende a patti con gli editori scientifici?

resgateResearchGate (RG) ha annunciato pochi giorni fa di aver raggiunto un accordo con gli editori Springer Nature, Cambridge University Press e Thieme per collaborare alla condivisione di articoli, proteggendo sia i diritti degli autori sia degli editori, tentando di risolvere, almeno in parte, le controversie sul diritto d’autore tra la piattaforma e gli editori. L’accordo, infatti, sembra essere conseguenza della polemica dello scorso anno quando l’International Association of Scientific,Technical and Medical Publishers (STM),  aveva chiesto formalmente a RG di migliorare la comunicazione con i propri utenti sulle politiche di condivisione degli articoli alla luce del fatto che molti articoli condivisi sulla piattaforma infrangono il copyright.

L’accordo prevede un processo di notifica da parte degli editori delle violazioni del copyright a RG che a sua volta si impegna a garantire la rimozione immediata di quei contenuti. RG collaborerà inoltre con gli editori per informare i propri utenti su quale materiale possono liberamente condividere sulla piattaforma.
Gli editori avranno una maggiore consapevolezza di quando e dove il loro materiale viene condiviso, ma, secondo l’accordo, non saranno in grado di bloccare o filtrare preventivamente gli studi che vengono caricati su RG. Quest’ultima clausola ha sollevato reazioni negative da parte di altri colossi dell’editoria scientifica, in particolare Elsevier e l’American Chemical Society, che vogliono spingere RG ad assumersi la responsabilità di esaminare gli articoli prima che vengano pubblicati sulla piattaforma.

Essere o non essere su Twitter, questo è il problema…

twitterSappiamo da diverse ricerche condotte negli ultimi anni che la presenza attiva su Twitter degli autori di articoli scientifici è un ottimo modo per disseminare il proprio lavoro e può tradursi in un aumento delle citazioni ricevute.
Recentemente è stato pubblicato un nuovo studio che, partendo da questo dato, si è interrogato sull’eventuale relazione tra le citazioni ricevute da un articolo e la presenza su Twitter della rivista sulla quale è stato pubblicato.
L’autore ha preso in esame il ruolo di 350 riviste presenti su Twitter analizzando (grazie a PlumX) in quale misura gli articoli da loro pubblicati, oltre 4000, sono stati citati e twittati. Le riviste sono state suddivise in 4 categorie:

  • riviste con un proprio account su Twitter
  • riviste il cui proprietario (società scientifiche o professionali) ha un proprio account su Twitter
  • riviste il cui editore ha un proprio account su Twitter
  • riviste con nessuna presenza su Twitter

I risultati hanno mostrato che gli articoli pubblicati su riviste con un proprio account su Twitter sono più twittati mediamente del 46% rispetto a quelli pubblicati su riviste non presenti sulla piattaforma e che quelli pubblicati su riviste presenti attraverso il proprietario o l’editore, rispettivamente del 36% e del 25%.
Anche le citazioni, dato più interessante, sembrano essere correlate in quanto per gli articoli pubblicati su riviste con un proprio account si registra un aumento delle citazioni in media del 34% e per quelli pubblicati su riviste presenti su Twitter tramite l’editore in media del 32%.
Questi risultati dimostrano che la diffusione tramite questo social media (in questo caso misurata dai tweet) è strettamente correlata all’impatto scientifico (misurato in citazioni). Dall’analisi dei dati la variabile che sembra fare la differenza, in termini di tweet e citazioni ricevute, è il numero dei followers.

Nell’insieme questo studio, il primo del genere, mostra che la presenza su Twitter di una rivista, soprattutto con un proprio account, è fondamentale per incrementare la disseminazione e la visibilità degli articoli pubblicati anche se al tempo stesso solleva la questione di quanto l’impatto della citazione sia un riflesso della disseminazione piuttosto che della qualità della ricerca.

ScholarlyHub

scholarlyhub

L’utilizzo dei social network professionali è ad oggi ancora piuttosto frammentato, sebbene, per quanto riguarda la comunità scientifica, ResearchGate sia abbastanza diffuso tra i ricercatori. Ad oggi nessuna piattaforma è riuscita ad prevalere sulle altre e potersi definire come il “Facebook dei ricercatori”. Riuscire a creare un social network che possa effettivamente venire incontro alle esigenze dei ricercatori di condivisione, disseminazione e recupero dell’informazione è sempre stato per gli editori un’occasione da non perdere (ad esempio per monitorare la condivisione degli articoli o sperimentare nuove forme di peer-review) e negli anni si è assistito alla nascita, e talvolta alla fine, di varie piattaforme gestite direttamente da editori come, ad esempio, BiomedExperts, NatureNetwork o Loop e all’acquisto di Mendeley da parte di Elsevier.

In questo contesto nasce ScholarlyHub, la prima piattaforma no profit pensata da e per i ricercatori, con l’obiettivo di migliorare la comunicazione tra ricercatori ma anche con il grande pubblico. Guy Geltner, uno dei promotori del progetto, ha dichiarato che i ricercatori al momento si trovano in mezzo ad una guerra “capitalistica” tra grossi editori e siti come ResearchGate e Academia.edu interessati a utilizzare l’enorme quantità di dati relativi alle loro attività.

L’ obiettivo dei promotori di questa piattaforma è quello di fornire un ambiente multidisciplinare, peer-to-peer e open-access che abbini tradizionali ed innovative procedure per il controllo di qualità, servizi pre e post-pubblicazione e garantisca opportunità per la collaborazione, la pubblicazione e la discussione. ScholarlyHub può diventare uno strumento per incrementare l’interdisciplinarietà, proteggere l’indipendenza dei ricercatori dalle esigenze di mercato dettate dagli editori, da un lato, e dalle agenzie di governo dall’altro.

La piattaforma richiederà una quota di adesione, minima per gli studenti leggermente più alta per gli altri, per garantire a tutti la stessa voce in capitolo e stessi servizi. La quota di adesione è una novità e potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo per una comunità, quella scientifica, che si è già assestata su un’altra piattaforma, ResearchGate, che, seppure sottoutilizzata, soddisfa le esigenze dei ricercatori che ad oggi usano questi strumenti prevalentemente per lo scambio dei preprint e articoli senza sfruttarne appieno le potenzialità di luogo di aggregazione della comunità scientifica.

Sfida, quest’ultima, che ScholarlyHub sembra poter cogliere in quanto vuole essere un’unica piattaforma che sia allo stesso tempo un social network, uno spazio per pubblicare (senza far pagare APCs) e un archivio.

11 mosse per trasformare velocemente il proprio articolo in un blog post

blogI blog, e più in generale i social media, offrono la possibilità di ampliare moltissimo la platea di potenziali lettori di un articolo scientifico, garantendogli una visibilità che va ben oltre il contesto strettamente accademico e disciplinare.

L’autore del post che proponiamo oggi, si chiede un po’ provocatoriamente, per quale motivo molti ricercatori, dopo aver speso mesi/anni per pubblicare un articolo, non spendono ancora poco del loro tempo per estrarne un riassunto da pubblicare su uno dei tanti aggregatori di blog e sfruttare le capacità di disseminazione che questo strumento offre.

Ricavare un post dal proprio articolo scientifico può essere un’operazione veloce se seguiamo questi 11 step proposti dall’autore:

  1. Riassumi il tuo articolo in massimo 1000 parole
  2. Elimina la parte relativa alla metodologia (a meno che non sia innovativa)
  3. Elimina la parte relativa alla revisione della letteratura e alla discussione dei risultati
  4. Scrivi un titolo -max 140 caratteri- che racconti la tua ricerca (che può diventare un tweet)
  5. Inserisci un paragrafo “trailer” per descrivere il contenuto e il messaggio chiave 
  6. Esponi i risultati, a quali conclusioni o scoperte porta il tuo lavoro. Questa è la parte centrale del post, deve attirare l’attenzione del lettore e mantenerla viva andando subito al punto!
  7. Quando possibile inserisci una tabella o un grafico (mai più di 4) ben spiegati. Limitati ai dati essenziali e usa i colori!
  8. Non pensare che i lettori capiscano il tuo messaggio senza spiegazioni: limita il più possibile un linguaggio troppo tecnico (e nel caso spiega i termini), fai attenzione agli acronimi e non scrivere paragrafi troppo lunghi. Le referenze devono essere linkate al testo
  9. Prova a concludere il post in modo interessante, con una frase ad effetto che riassume il messaggio principale
  10. Alla fine del post scrivi il titolo completo del tuo articolo e linkalo al full-text, possibilmente ad accesso aperto
  11. Concludi con una breve nota biografica completa di eventuali account Twitter, Facebook o email

STM vs ResearchGate

L’International Association of Scientific, Technical and Medical Publishers (STM), associazione che rappresenta circa 140 editori di ambito scientifico/accademico, ha recentemente scritto a ResearchGate esprimendo le proprie preoccupazioni sulle pratiche di condivisione di articoli utilizzate dai ricercatori che sono iscritti al sito. ResearchGate, considerato il più grosso sito di social networking in ambito scientifico/accademico con più di tredici milioni di utenti, è stato più volte criticato per la sua scarsa attenzione al problema della diffusione di articoli sotto copyright. Un recente studio su 500 articoli caricati su ResearchGate (Scientometrics 2017, Volume 112, Issue 1, pp 241–254) ha scoperto che poco meno della metà di questi (201 articoli scientifici) era stato messo liberamente a disposizione sul sito infrangendo il copyright.

A questo proposito, l’associazione ha chiesto formalmente a ResearchGate di migliorare la comunicazione con i propri utenti sulle politiche di condivisione degli articoli (sempre secondo l’articolo la maggior parte dei casi in cui era stato infranto il copyright era perché l’autore non aveva caricato sul sito la versione autorizzata, un post print, bensì il PDF editoriale, sottintendendo che nella maggior parte dei casi si trattasse di una scarsa o nulla conoscenza delle politiche del copyright) e di sviluppare un software che automaticamente possa individuare gli articoli sotto copyright. STM dichiara inoltre che permetterà a ResearchGate di mantenere sul sito fino al giugno 2018 gli articoli pubblicati prima del settembre 2016 (in modo da avere il tempo di valutare se possono effettivamente rimanere sul sito) mentre i contenuti caricati dopo settembre 2016 dovranno essere valutati caso per caso ed eventualmente resi disponibili solo ai coautori o a gruppi di lavoro ristretti. Al momento non vi è stata nessuna risposta da ResearchGate.

SciHashtag

scihashtagGli hashtag (parole chiave precedute dal simbolo #) sono il modo con cui si comunica e si ricercano informazioni su Twitter in quanto permettono di aggregare tutti i tweet che parlano di un determinato argomento.
Identificare l’hashtag corretto può essere difficile o richiedere tempo, per questo stanno nascendo una serie di iniziative, soprattutto ad opera della comunità scientifica, per agevolare questa operazione. Dopo Symplur, che si occupa di archiviare gli hashtag in ambito medico, è nato SciHashtag dedicato invece alla raccolta degli hashtag in uso in ambito accademico e nella comunicazione scientifica.
SciHashtag, ancora in sperimentazione, ad oggi organizza gli hashtag in quattro aree tematiche: accademia, pubblicazioni, scienza e comunicazione scientifica. Ognuna di queste aree tematiche è a sua volta suddivisa in categorie di hashtag ricercabili in ordine alfabetico (ancora in fase di lavorazione).
Il progetto è aperto, ed è reso possibile grazie alla partecipazione di tutti coloro che suggeriscono nuovi hashtag da inserire. Si può segnalare un nuovo hashtag attraverso l’apposita pagina o twittandolo direttamente a @biomug.

Il social network scientifico del futuro

scientific collaborationEsistono al momento diversi social network dedicati al mondo accademico e della ricerca. Attualmente i tre più utilizzati sono ResearchGate (6 milioni di utenti), Mendeley (oltre 3 milioni) e Academia.edu (circa 18 milioni ma è aperto a chiunque) ma nessuno di questi social network, pur avendo molti iscritti , è riuscito ad affermarsi come il “Facebook degli scienziati”. ResearchGate, in ambito scientifico, è quello che conta più iscritti, ma ad oggi  viene prevalentemente utilizzato per lo scambio dei preprint senza sfruttare appieno le sue potenzialità di “luogo virtuale” dove scambiare e discutere idee e creare nuove collaborazioni. Riuscire a conquistare questo spazio con un social network che possa effettivamente venire incontro alle esigenze dei ricercatori di condivisione, disseminazione e recupero dell’informazione è per gli editori un’occasione da sfruttare, ad esempio per la possibilità di poter monitorare la condivisione degli articoli e gli argomenti emergenti e sperimentare nuove forme di peer-review. Questi sono alcuni dei motivi per cui continuano a nascere e a morire nuovi social network come nel caso di BioMedExperts e NatureNetwork. Ultimo tentativo in ordine cronologico è Loop, lanciato a fine 2014 dall’editore open access Frontiers in collaborazione con il Nature Publishing Group. Un interessante blog post su Digital Science si interroga sul perché l’utilizzo dei social media in ambito scientifico sia ancora molto frammentato e immagina come dovrebbe essere il social network del futuro: meno concentrato sulla costruzione di un profilo personale e più sulla pubblicazione e la condivisione mirata dei contenuti grazie all’utilizzo dei metadati.

 

Il white paper di Taylor & Francis sull’uso dei social media in biblioteca

useofsocialmedia-Taylor&FrancisIl gruppo editoriale Taylor & Francis ha recentemente svolto un sondaggio su un campione composto da bibliotecari inglesi, americani e indiani sull’utilizzo dei social media in biblioteca.
I risultati sono stati pubblicati in un white paper che fornisce alcuni dati molto interessanti: più del 70% delle biblioteche usano social media mentre il 30% dei bibliotecari li utilizza quotidianamente.
I più popolari sono Facebook e Twitter anche se sta crescendo l’interesse per i social network per la condivisione di immagini e video come Pinterest e Youtube.
Attualmente questi strumenti non sono pienamente utilizzati ma potrebbero giocare un ruolo sempre più importante nell’offerta di nuovi servizi da parte delle biblioteche.