“Publish, than review”

eLife, rivista open access, ha recentemente annunciato l’introduzione di un nuovo modello di pubblicazione: “publish, then review”.

Da luglio 2021 eLife esaminerà solo i manoscritti precedentemente pubblicati su un archivio di preprint come bioRxiv, medRxiv o arXiv e pubblicherà le revisioni unitamente ai preprint. Nel caso la rivista riceva manoscritti che non siano già depositati come preprint, questi saranno pubblicati da eLife su bioRxiv o medRxiv per conto degli autori.

Alla base di questa scelta la consapevolezza della crescente popolarità dei preprint confermata da un’indagine interna dalla quale è emerso che circa il 70% dei lavori pubblicati su eLife tra maggio e luglio di quest’anno era già stato pubblicato come preprint. 

eLife prevede inoltre di pubblicare le revisioni sugli archivi di preprint indipendentemente dal fatto che un articolo sia accettato o meno per la pubblicazione (gli autori di manoscritti rifiutati potranno ritardare la pubblicazione delle loro recensioni fino a quando i loro articoli non saranno accettati altrove). In quest’ottica sta sviluppando una piattaforma, Sciety, per la condivisione di peer review pubbliche, i cui autori rimarranno comunque anonimi.

Questo nuovo modello rappresenta un contributo all’accesso aperto in quanto rende la condivisione dei preprint, così come l’open peer review, pratiche di default e probabilmente non a caso nasce in questo momento storico in cui, in occasione della pandemia da covid-19, la condivisione è stata centrale e i preprint, cresciuti in modo esponenziale, sono stati lo strumento privilegiato per diffondere i risultati della ricerca. 

Open Research Publishing Platform.

CEE’ notizia di pochi giorni fa che la Commissione Europea ha affidato a F1000 il contratto per la gestione della European Commission Open Research Publishing Platform.

La piattaforma offrirà un servizio di pubblicazione peer-reviewed a supporto dei beneficiari di Horizon 2020 e Horizon Europe per pubblicare le loro ricerche ad accesso aperto e senza APC, sia in versione preprint che definitiva, soddisfacendo i requisiti di accesso aperto richiesti dai due programmi.
La piattaforma gestirà l’intero processo di pubblicazione, dalla sottomissione dell’articolo alla pubblicazione, compresa la revisione tra pari, adotterà un “open peer-review system”, il post-pubblication e la conservazione, profilandosi come un archivio con servizi editoriali.

Open Research Europe accetterà la presentazione di articoli finanziati da H2020 a partire dall’autunno 2020. Il suo lancio ufficiale è previsto per l’inizio del 2021.

I rischi della rapida diffusione della ricerca sul coronavirus

speed scienceSegnaliamo un articolo, pubblicato sul sito dell’agenzia di stampa Reuters, che fa un’interessante analisi sui rischi legati alla rapida diffusione dei risultati della ricerca, e in particolare sul ruolo dei pre-print e dei social media in un momento come quello attuale segnato dall’emergenza coronavirus che richiede che l’informazione sia condivisa rapidamente e liberamente.

Reuters ha analizzato lavori recuperati da Google Scholar e pubblicati su tre server di preprint: bioRxiv, medRxiv e ChemRxiv. Dei 153 studi identificati, circa il 60% era costituito da preprint, di cui gran parte sono studi rigorosi e utili, ma alcuni mancano di rigore scientifico e sono stati ritirati non prima però di essere stati condivisi sui social media e lanciati da varie agenzie di stampa. Questa pratica, quando ha coinvolto lavori in seguito mostratisi errati, ha contribuito a far crescere la disinformazione e di conseguenza ad alimentare la paura.

Un esempio è stato un lavoro che indicava alcune somiglianze definite “inquietanti” tra il nuovo coronavirus e l’HIV.  Il lavoro, aspramente criticato dagli scienziati di tutto il mondo, è stato rapidamente ritirato ma era già apparso in più di 17.000 tweet e rilanciato da 25 agenzie stampa.

Proprio alla luce di questi episodi BioRxiv ha ora aggiunto un avvertimento per ogni nuova ricerca sul coronavirus in cui evidenzia che si tratta di rapporti preliminari che non sono stati sottoposti a peer-review e pertanto non dovrebbero essere considerati definitivi, guidare la pratica clinica o essere riportati dai media come informazioni certe.

L’articolo impone una riflessione sull’uso che è stato fatto dei preprint in questa situazione che, complice la pressione per comunicare le scoperte in tempo reale, ha portato ad un loro uso errato dando in pasto all’informazione pubblica notizie successivamente rivelatesi sbagliate e contribuendo in questo modo all’attuale infodemia.

Linee guida per la selezione degli archivi di dati

open scienceL’editore Springer Nature sta collaborando con diversi editori (tra cui PLoS, F1000, Wiley, Taylor and Francis, Elsevier e Cambridge University Press), e con FAIRsharing e DataCite, per sviluppare una serie di criteri fondamentali per l’identificazione e la selezione di archivi di dati che possano essere raccomandati ai ricercatori quando intendono pubblicare i dati alla base delle proprie ricerche. 
Nella bozza di lavoro sono stati al momento elencati criteri essenziali e criteri desiderabili (non così diffusi al momento da poterli considerare come un filtro essenziale nella valutazione di un archivio di dati).
Alla base di questa collaborazione c’è la convinzione che, se si vuole che i ricercatori comincino a considerare i set di dati come risultato accademico di pari valore delle pubblicazioni di ricerca più tradizionali, editori e singole riviste dovrebbero raccomandare archivi di dati basandosi su criteri chiari e condivisi.
In questa prima fase, il lavoro è indirizzato soprattutto a editori, a riviste e a chi gestisce archivi aperti ma tutti possono andare a leggere il draft e commentarlo fino a fine gennaio 2020.

Come potrebbero essere gli archivi aperti del futuro?

coarAd oggi la maggior parte delle istituzioni di ricerca e delle università hanno un archivio aperto ma queste piattaforme utilizzano ancora tecnologie e protocolli progettati quasi venti anni fa, prima del boom del Web e dell’avvento di Google, prima dei social network, del web semantico e dei dispositivi mobili. Questo è, in gran parte, il motivo per cui gli archivi aperti non hanno pienamente realizzato il loro potenziale e funzionano principalmente come contenitori delle versioni finali dei risultati delle ricerche di coloro che lavorano nelle istituzioni a cui afferiscono. Per identificare quelle che potrebbero essere le principali funzionalità degli archivi di prossima generazione, nonché le architetture e le tecnologie necessarie per implementarle, nell’aprile del 2016 il COAR (Confederation of Open Access Repositories) ha istituito il gruppo di lavoro Next Generation Repositories Working Group. Il Gruppo di lavoro ha appena pubblicato un report che presenta delle raccomandazioni per l’adozione di nuove tecnologie, standard e protocolli che potrebbero aiutare gli archivi a diventare più integrati nell’ambiente web svolgendo un ruolo più ampio nell’ambito della comunicazione scientifica. Il Gruppo di lavoro, ispirandosi anche ad altri sistemi che ormai vengono abitualmente utilizzati dai ricercatori per condividere i propri lavori e collaborare, sottolinea che per poter sfruttare appieno il vero potenziale degli archivi aperti come rete globale di diffusione della ricerca e di alternativa all’editoria tradizionale, si dovrebbero offrire servizi aggiuntivi come, tra gli altri, la possibilità di:

  • visualizzare metriche d’uso alternative legate alle potenzialità del web, ad esempio la visualizzazione e lo scarico dei documenti;
  • poter inserire commenti e annotazioni nei testi;
  • revisionare i documenti;
  • creare delle reti di contatti tra ricercatori.

Nel Rapporto viene anche sottolineata la peculiare caratteristica degli archivi di fornire l’accesso ad una maggiore varietà di risultati di ricerca (ad esempio, preprint, dataset, immagini), che ovviamente dovranno essere formalmente riconosciuti anche nei processi di valutazione della ricerca, e un nuovo ruolo delle biblioteche che sempre più sposteranno il proprio lavoro dalla semplice acquisizione dei documenti alla cura e condivisione degli output prodotti presso la loro istituzione. Il Gruppo di lavoro, consapevole della velocità con cui le nuove tecnologie si evolvono, ha annunciato che caricherà a breve le proprie raccomandazioni su GitHub in modo da consentire, a chi è interessato, di fornire commenti e suggerimenti su tecnologie, standard e protocolli che potrebbero essere considerati.

6 nuovi archivi di preprint

cosA fine agosto il Center for Open Science (COS), startup non-profit fondata nel 2013 con la missione di aumentare la trasparenza e la riproducibilità della ricerca scientifica, ha annunciato il lancio di 6 nuovi archivi di preprint, di cui 5 disciplinari e uno nazionale:

  • INA-Rxiv, (server di pre-print indonesiano)
  • LISSA, (library and information science)
  • MindRxiv, (research on mind and contemplative practices)
  • NutriXiv, (nutritional sciences)
  • paleorXiv, (paleontology)
  • SportRxiv, (sport and exercise-related research)

Attraverso la condivisione dei preprint i ricercatori hanno la concreta possibilità di accelerare notevolmente la diffusione dei risultati della ricerca e dei relativi feed-back.  Per questo COS incoraggia le comunità di ricerca a promuovere l’innovazione nella comunicazione scientifica, sviluppando e mantenendo gratuitamente strumenti software open source come Open Source Science Framework (OSF): l’infrastruttura che attualmente ospita in totale 14 server di preprint.

Open Peer Review Module per gli archivi istituzionali

OPRM_logoIl 27 aprile prossimo verrà presentato a Madrid l’Open Peer Review Module (OPRM) sviluppato da Open Scholar in collaborazione con 5 partner spagnoli e finanziato dal progetto OpenAIRE2020. L’obiettivo è quello di offrire uno strumento per garantire una peer review aperta a tutte le tipologie di lavori depositati negli archivi ad accesso aperto in modo da equiparare, in termini qualitativi, i lavori depositati negli archivi aperti e quelli pubblicati sulle riviste al fine di ridefinire il ruolo degli archivi istituzionali per il futuro della valutazione scientifica. Un sistema di tag e opzioni di ricerca avanzate permetterà di individuare facilmente tutti i lavori depositati negli archivi aperti che hanno ricevuto peer review. Il progetto prevede la graduale conversione degli attuali archivi aperti in piattaforme in grado di assicurare un processo di valutazione aperto e trasparente ad opera della comunità dei pari e riportare in questo modo il processo di valutazione in mano alla comunità scientifica. L’OPRM sarà inizialmente sviluppato come un plugin per i repository che utilizzano Dspace, ma verrà successivamente adattato anche ad altri software come ad esempio EPrints.

Due iniziative per il recupero dei lavori depositati negli archivi istituzionali

openaccessBibliosan20Gli archivi istituzionali recensiti nel Registry of Open Access Repositories (ROAR) sono più di 4000 ma, ad oggi, non è possibile interrogarli tutti tramite una unica ricerca in quanto molti di questi archivi non hanno il software necessario per renderli ricercabili tramite web (ad esempio, più di 1000 non supportano il protocollo OAI-PMH) e non presentano i dati in un formato uniforme. Esistono già dei progetti per aggregare i contenuti degli archivi istituzionali (CORE, OpenAIRE, SHARE Notify) ma sono tutti progetti a livello locale, ad esempio CORE aggrega i dati degli archivi di 248 università britanniche. Segnaliamo due iniziative per un recupero più efficiente dei lavori depositati negli archivi istituzionali: SPARC, in collaborazione con alcuni tra i più importanti rappresentanti del mondo dell’Open Access, sta lavorando ad una piattaforma, The One Repo, come unica interfaccia dove recuperare tutti gli articoli depositati negli archivi istituzionali, in alcuni archivi disciplinari e articoli pubblicati in riviste ad accesso aperto. Questo progetto è ancora in fase iniziale ed al momento aggrega circa una ventina tra riviste open access e archivi aperti. Un altro motore di ricerca che recupera gli articoli OA archiviati nei depositi istituzionali, ancora in fase sperimentale, è openaccess.xyz, a cura di Timothy MC Callum, che presenta questo strumento in un interessante blog post.

 

bioRxiv: la risposta dei biologi ad arXiv

BiorxivLanciato il 12 novembre dal Cold Spring Harbor Laboratory, bioRxiv vuole essere la versione per i biologi del popolare archivio di preprint arXiv.Nelle intenzioni dei suoi creatori bioRxiv permetterà ai ricercatori di condividere i preprint dei propri lavori previo controllo da parte di un comitato di esperti. I lavori proposti dovranno riguardare le “life sciences” esclusa la medicina. Gli autori potranno indicare se il proprio lavoro segna un avanzamento nella ricerca (New Results) o se conferma (Confirmatory Results) o contraddice (Contradictory Results) delle ricerche precedenti.