Pratiche dannose nell’editoria accademica: il caso dei Predatory journals

webinar predatory ebscoRiprendiamo il nostro appuntamento settimanale segnalando un webinar: Pratiche dannose nell’editoria accademica: il caso dei Predatory journals, organizzato da EBSCO.

Quello dei predatory journals è un fenomeno che mette seriamente a rischio l’integrità della ricerca e che, sebbene emerso da diversi anni, tuttora affligge l’editoria scientifica.

Al webinar, tenuto da Franca Deriu e Andrea Manca, rispettivamente professoressa e ricercatore dell’Università di Sassari, si parlerà di: 

  • cosa è il fenomeno dei predatory journals: come è nato e come si è evoluto
  • recenti ricerche che cercano di quantificare il fenomeno e la sua distribuzione geografica
  • iniziative in corso per cercare di contenere e risolvere il fenomeno
  • criteri di selezione di EBSCO per garantire l’affidabilità dei contenuti delle proprie banche dati

Il webinar, gratuito, si terrà mercoledì 26 gennaio alle 11.30 e durerà un’ora. Per partecipare è necessario registrarsi.

Compass to publish

CompassL’Università di Liegi ha creato uno strumento, Compass to publish, attualmente in beta, per aiutare la comunità scientifica a comprendere meglio il problema dei predatory publishers tramite la valutazione del grado di affidabilità di una rivista Open Access che chieda il pagamento delle APC per pubblicare.

I ricercatori sono invitati a rispondere a una serie di domande (26) sulla rivista sulla quale intendono pubblicare e, a seconda delle risposte fornite, verrà loro indicato il grado di affidabilità della rivista: dal rosso brillante per le riviste ad alto rischio al verde scuro per le riviste che non mostrano comportamenti ingannevoli.

Il risultato si basa su punteggi dati alle risposte alle domande che vanno a stabilire il grado di autenticità della rivista che può andare da -20 (rivista sicuramente predatoria) a +20 (nessun sospetto di comportamento ingannevole), non pretende di offrire una valutazione formale in pochi click ma mira a coinvolgere i ricercatori in un processo critico e analitico. Per ogni domanda, infatti, il sistema ha predisposto link diretti per andare immediatamente ad approfondire la questione e verificare la risposta corretta.

Per chi vuole approfondire, sul sito viene spiegata, nei minimi dettagli, tutta la griglia metodologica che è alla base di Compass to publish.

Nuova risorsa su Think, Check, Submit

thinkchecksubmitThink, Check, Submit, iniziativa nata per aiutare i ricercatori a scegliere le riviste più adatte dove pubblicare i propri lavori e a non finir preda dei predatory publishers, ha annunciato di aver aggiunto sul proprio sito una nuova risorsa: una checklist specifica per chi vuole verificare l’affidabilità di un editore di monografie. 

In linea con le raccomandazioni già offerte dalla famosa checklist per le riviste (tradotta anche in italiano), questa  lista di controllo per le monografie presenta una serie di domande che un ricercatore dovrebbe porsi prima di sottoporre il proprio lavoro ad un editore in modo da essere sicuro della sua affidabilità, ad esempio se fa parte di qualche associazione riconosciuta come il Committee on Publication Ethics (COPE) o, se è ad accesso aperto, se le sue monografie sono indicizzate nella Directory of Open Access Books (DOAB).

Cos’è e come evitare il “Predatory publishing”

GuestPostCon questo interessante contributo inauguriamo la collaborazione con i colleghi Bibliosan. Questo post è stato scritto da Manuela Moncada, della Biblioteca Medica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che ringraziamo. Buona lettura!

Come riconoscere un “predatory publisher” o un “predatory journal”, e cosa si intende, esattamente, con queste espressioni? Lo spiega Il COPE, Committee on Publication Ethics, in un documento di sintesi in cui fa il punto su questo fenomeno, mettendone in luce le caratteristiche salienti.

Cresciuto con l’avvento di Internet e  divenuto sempre più diffuso, il predatory publishing è la pubblicazione da parte di riviste ed editori di contenuto accademico e di ricerca in modo fraudolento e ingannevole e senza la necessaria attenzione per la qualità degli studi: elementi comuni sono la mancanza di peer review, la promessa di tempi rapidissimi di pubblicazione e il pagamento di un costo, richiesto talvolta in modo non chiaro, a fronte dell’accettazione dell’articolo, elemento che ha erroneamente assimilato questo fenomeno al modello Open Access.

Il documento elenca una serie di indicatori utili per imparare a riconoscere le riviste predatorie, dal nome del journal, che può volutamente somigliare a quello di una rivista affermata, al modo utilizzato per reclutare nuovi possibili autori, ad esempio dichiarando un falso Impact Factor, che sono basati sui Principi di trasparenza formulati unitamente da COPE, DOAJ (Directory of Open access Journals) e OASPA (Open Access Scholarly Publishers Association).

L’unione fa la forza: come fermare i predatory journals

predatoryUn recente studio pubblicato su Nature Human Behaviour ha evidenziato che circa la metà di coloro che pubblicano su riviste definite “predatorie” (i cosiddetti “predatory journals”) sono ricercatori che provengono da paesi industrializzati e non da paesi in via di sviluppo come si è propensi a credere. Questo sottolinea il fatto che i predatory journals sono un problema globale che coinvolge tutti gli ambiti della ricerca scientifica senza confini geografici ed economici. Nonostante i numerosi appelli per cercare di frenare la diffusione dei predatory journals, si assiste alla loro continua crescita, con un danno enorme alla ricerca e alla diffusione dell’informazione scientifica. Questo quadro suggerisce la necessità di un’azione più forte per contrastare questo fenomeno.

Il post che segnaliamo oggi è un’interessante intervista alle autrici dell’articolo, che individuano in una serie di azioni coordinate da parte dei diversi gruppi coinvolti nella creazione, diffusione e fruizione dell’informazione scientifica (stakeholders) la soluzione di questo problema:

  • Ricercatori: dovrebbero imparare a riconoscere le caratteristiche dei predatory journals per poter scegliere consapevolmente dove pubblicare
  • Università e biblioteche: dovrebbero offrire supporto (con corsi, guide…) ai ricercatori per metterli nella condizione di evitare di pubblicare sui predatory journals informandoli dei rischi che corrono
  • Enti finanziatori: dovrebbero verificare dove effettivamente vengono pubblicati i risultati delle ricerche da loro finanziate ed adottare politiche atte a scoraggiare la pubblicazione sui predatory journals
  • Riviste “legittime”: dovrebbero distinguersi dai predatory journals aumentando la trasparenza dei processi editoriali in modo che siano verificabili pubblicamente (ad esempio adottando la open peer-review) e, se ad accesso aperto, registrarsi su DOAJ
  • Organismi di regolamentazione: dovrebbero adottare politiche che vincolano la pubblicazione su riviste legittime evitando in tal modo l’enorme spreco di risorse, economiche e non solo, che si verifica pubblicando sui predatory journals
  • Pazienti: prima di partecipare ad una ricerca dovrebbero avere la certezza che la pubblicazione dello studio a cui partecipano non avvenga sui predatory journal

A queste indicazioni si aggiunge l’esigenza di definire cosa realmente sono i predatory journals, per non confonderli con quei periodici che, pur non adottando pratiche ingannevoli, per varie ragioni (scarse risorse finanziarie, scarsa conoscenza…) non si allineano alle migliori pratiche di pubblicazione e pertanto non sono considerati ideali per pubblicare, andando a definire la categoria più ampia di “illegitimate journals” (periodici illegittimi). Per realizzare queste azioni le autrici auspicano la formazione di un gruppo di lavoro, formato da un rappresentante per ogni stakeholder, che giunga innanzitutto a definire il problema per poi affrontarlo in modo coordinato intraprendendo le azioni identificate come necessarie alla soluzione del problema.

Una nuova Beall’s list

predatory-publisherLa Beall’s list è ricomparsa sul web sotto un’altra forma: un ricercatore europeo che non vuole dare le sue generalità (visto le minacce che aveva ricevuto il creatore di questa famosa lista Jeffrey Beall) ha deciso di recuperare una copia della lista e di aggiornarla con note a parte. Si possono trovare altre copie della Beall’s list su web ma la particolarità di quest’ultima è che non si tratta di una copia immutata della sua ultima versione prima che il sito venisse definitivamente oscurato in quanto il suo curatore si è impegnato ad aggiornarla (anche se non con la stessa frequenza di Beall, come dichiara lui stesso). Anche il punto di vista del curatore  è leggermente differente da quello di Beall in quanto ha aggiunto sul sito i link a ThinkCheckSubmit e a DOAJ (anche all’elenco delle riviste che dichiarano falsamente di essere indicizzate in questa famosa directory) spingendo per una maggior consapevolezza del fenomeno da parte dei ricercatori e quindi per una loro maggiore attenzione su dove pubblicare.

Come evitare di essere prede dei predatory publisher

predatorySempre più spesso siamo chiamati ad un confronto da parte dei nostri ricercatori ai quali viene richiesto di far parte di editorial board o di pubblicare su riviste gestite da “predatory publishers”. Sono editori che cercano di sfruttare il movimento Open Access per i propri interessi economici, richiedendo agli autori dei contributi scientifici una tariffa per pubblicare, senza però effettuare la peer review.

Negli ultimi anni la Beall’s List era diventata un punto di riferimento (non esente da critiche) per identificare possibili editori predatori e le relative riviste, però dal 15 gennaio è inspiegabilmente svanita nel nulla. Sul web si trovano molti suggerimenti sui controlli da fare prima di presentare il proprio lavoro ad un editore che potrebbe non essere del tutto attendibile.

Ne riportiamo alcuni, presi dai siti Why Open Research e Think. Check. Submit, che propongono liste di domande da porsi prima di accettare di pubblicare:

  • La mail che è arrivata è troppo informale, con errori di grammatica e con un editor difficilmente identificabile?
  • I membri del comitato editoriale della rivista sono conosciuti nel proprio ambito di ricerca?
  • La rivista è presente nella lista della Directory of Open Access Journals (DOAJ)?
  • La rivista è un membro dell’Open Access Scholarly Publishers Association (OASPA), l’associazione degli editori open access?
  • La rivista presenta delle informazioni identificative universalmente riconosciute come un ISSN ufficiale o assegna un DOI agli articoli che pubblica?
  • La rivista effettua la peer review?
  • Viene indicata chiaramente la presenza/assenza di tariffe per pubblicare un articolo?
  • La rivista è indicizzata su database conosciuti come PubMed o Web of Science?  Di solito i “predatory publishers” non lo sono e, in molti casi, presentano dei falsi indicatori d’impatto che non hanno nulla a che vedere con l’impact factor.

Suggerire queste domande può essere un utile punto di partenza per aiutare i nostri ricercatori a non imbattersi in editori poco attendibili e vanificare il proprio lavoro pubblicandolo su riviste non riconosciute dalla comunità scientifica.

Cosa è successo alla Beall’s List?

Beall-predatorypublishersDal 15 gennaio è inspiegabilmente svanita nel nulla la Beall’s list, lista che raccoglie un elenco di predatory publisher (editori “predatori” che cercano di sfruttare il movimento Open Access per i propri interessi economici, richiedendo agli autori dei contributi scientifici una tariffa per pubblicare, senza però effettuare una rigorosa peer review), e di cui era recentemente stato pubblicato l’aggiornamento relativo al 2017.

La lista era gestita da Jeffrey Beall, bibliotecario alla University of Colorado, e pubblicata sul suo blog Scholarly Open Access: critical analysis of scholarly open-access publishing.

I contenuti del sito sono stati sostituiti dalla frase “This service is no longer available”, analogamente, il profilo su Facebook del sito riporta “Spiacenti, questo contenuto non è al momento disponibile” e la pagina personale del bibliotecario è stata chiusa. La lista, negli anni, era divenuta un punto di riferimento e Beall aveva ricevuto lodi per aver sottolineato il problema degli editori “predatori” ma anche molte critiche da parte del movimento Open Access per essere stato, in molti casi, ambiguo e non aver sufficientemente chiarito che i predatory publisher non hanno nulla in comune con l’open access, se non il fatto di averlo sfruttato per i propri interessi.

In Rete, soprattutto su Twitter, si sono fatte varie ipotesi, tra cui il fatto che il sito fosse stato hackerato o che fosse stato chiuso a seguito di una causa legale da parte di qualche rivista/editore incluso nella lista. In seguito, l’università dove lavora Beall ha dichiarato ufficialmente che la chiusura del sito è stata decisa volontariamente dal bibliotecario, che si dedicherà in futuro ad altre aree di ricerca, e che appoggia in pieno tale decisione.

Al momento non si conoscono le ragioni di tale scelta e Beall non ha ancora ha risposto ufficialmente a chi ha chiesto spiegazioni. 

Per chi volesse consultare una copia del sito, può trovarla su Internet Archive

SOI: Scientific Object Identifier?

SchloarlyOAJeffrey Beall, l’autore della Beall’s List dedicata ai predatory journals, rende noto un altro esempio di probabile truffa a danno dell’editoria scientifica, settore ormai protagonista di una vera e propria economia parallela che cerca di lucrare sui diversi servizi offerti agli autori (predatory journals, falsi servizi di correzione di bozze/peer review, metriche artificiose…). Tipico di questi tentativi di truffa è quello di richiamare il nome dell’originale per trarre in inganno il ricercatore, ad esempio nel caso dei predatory journals. L’ultimo nato è un nuovo standard che va sotto il nome di SOI: Scientific Object Identifier che sulla falsariga del DOI identifica diverse tipologie di “oggetti scientifici”: articoli, periodici, libri… e viene venduto dall’omonima società a danno degli autori.

Think, Check, Submit

thinkchecksubmitSempre più spesso i ricercatori si trovano a dover fare i conti con offerte di pubblicazione, o di far parte degli editorial board, da parte di editori che si rivelano essere poco affidabili, i cosiddetti “predatory publishers”, che pensano solo al profitto e, dietro pagamento, pubblicano qualsiasi cosa venga loro proposta. La campagna Think, Check, Submit, nata con il supporto di alcune delle maggiori istituzioni che operano nell’ambito della diffusione della ricerca scientifica,vuole aiutare quei ricercatori, soprattutto agli inizi della propria carriera, che non possiedono le competenze per scegliere le riviste più adatte dove pubblicare i propri lavori. Sul sito web appositamente creato sono presentate una serie di domande a cui il ricercatore deve rispondere per  verificare se le riviste prese in considerazione sono affidabili, ad esempio se l’editorial board è composto da studiosi conosciuti, se la rivista è indicizzata in uno dei principali database o se fa parte di qualche associazione riconosciuta (ad esempio DOAJ se è ad accesso aperto).