Come evitare di essere prede dei predatory publisher

predatorySempre più spesso siamo chiamati ad un confronto da parte dei nostri ricercatori ai quali viene richiesto di far parte di editorial board o di pubblicare su riviste gestite da “predatory publishers”. Sono editori che cercano di sfruttare il movimento Open Access per i propri interessi economici, richiedendo agli autori dei contributi scientifici una tariffa per pubblicare, senza però effettuare la peer review.

Negli ultimi anni la Beall’s List era diventata un punto di riferimento (non esente da critiche) per identificare possibili editori predatori e le relative riviste, però dal 15 gennaio è inspiegabilmente svanita nel nulla. Sul web si trovano molti suggerimenti sui controlli da fare prima di presentare il proprio lavoro ad un editore che potrebbe non essere del tutto attendibile.

Ne riportiamo alcuni, presi dai siti Why Open Research e Think. Check. Submit, che propongono liste di domande da porsi prima di accettare di pubblicare:

  • La mail che è arrivata è troppo informale, con errori di grammatica e con un editor difficilmente identificabile?
  • I membri del comitato editoriale della rivista sono conosciuti nel proprio ambito di ricerca?
  • La rivista è presente nella lista della Directory of Open Access Journals (DOAJ)?
  • La rivista è un membro dell’Open Access Scholarly Publishers Association (OASPA), l’associazione degli editori open access?
  • La rivista presenta delle informazioni identificative universalmente riconosciute come un ISSN ufficiale o assegna un DOI agli articoli che pubblica?
  • La rivista effettua la peer review?
  • Viene indicata chiaramente la presenza/assenza di tariffe per pubblicare un articolo?
  • La rivista è indicizzata su database conosciuti come PubMed o Web of Science?  Di solito i “predatory publishers” non lo sono e, in molti casi, presentano dei falsi indicatori d’impatto che non hanno nulla a che vedere con l’impact factor.

Suggerire queste domande può essere un utile punto di partenza per aiutare i nostri ricercatori a non imbattersi in editori poco attendibili e vanificare il proprio lavoro pubblicandolo su riviste non riconosciute dalla comunità scientifica.

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